Verso l'8 marzo: Intervista a una collega in prima linea nei centri antiviolenza

Verso l’8 marzo: Intervista a una collega in prima linea nei centri antiviolenza

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8 Marzo. © Ok!News24

Con l’arrivo dell’8 marzo, la Giornata Internazionale della Donna, che negli ultimi anni ha assunto un significato ben più profondo e non si riduce più a un semplice momento di convivialità, noi di Ok!News24 abbiamo voluto avvicinarci a questa data con un’intervista alla collega Barbara Amoroso Donatti, responsabile della comunicazione del centro antiviolenza Donne Insieme Valdelsa. Basti pensare che sabato ha organizzato una cena di gala di beneficenza per sostenere i centri antiviolenza della Toscana. (leggi qui).

Iniziamo a riflettere sull’importanza della Festa della Donna, di cui molti non conoscono le origini. Negli anni, questa celebrazione ha subìto profonde trasformazioni: dalle manifestazioni femministe negli anni Settanta, alle cene tra amiche negli anni Ottanta, fino agli spogliarelli femminili degli anni Novanta. Cosa pensa sia andato storto nel corso del tempo?
Sappiamo tutti che, se non si discute di un certo fenomeno, questo non esiste nel nostro immaginario collettivo. Il termine femminicidio, che rappresenta l’apice della cultura dello stupro e della violenza di genere, è comparso solo recentemente, evidenziando non solo il genere della vittima, ma soprattutto le motivazioni dietro il suo omicidio.
Nel 2004, l’antropologa messicana Marcela Lagarde ha coniato il termine femminicidio per evidenziare la drammatica situazione delle donne a Ciudad Juárez, in Messico.
Da quel momento, il concetto di femminicidio ha attratto l’attenzione anche di attiviste dell’America centrale, diventando così un concetto globale.
Il femminicidio rappresenta l’estrema manifestazione della violenza di genere, risultante dalla violazione dei diritti umani delle donne, sia in ambito pubblico che privato, attraverso comportamenti misogini che includono maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, economica e istituzionale.
La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, conosciuta anche come Convenzione di Istanbul, è un passo recente in questa direzione.
È evidente che queste tappe siano estremamente recenti, e che solo di recente il fenomeno della violenza di genere abbia iniziato a ricevere l’attenzione necessaria da parte dei governi e delle discussioni pubbliche.
Questo per dire che non parlerei di errore, ma piuttosto di un’ignoranza prolungata su un fenomeno devastante. Solo recentemente noi donne, abbiamo iniziato a capire il peso delle nostre azioni e delle scelte necessarie per prevenire la violenza di genere e proteggere le nostre vite.
È giusto celebrare e festeggiare le donne, ma i drammatici dati odierni sui femminicidi in Italia – con una media di uno ogni due giorni – ci chiamano all’azione. Dobbiamo affrontare questo fenomeno con campagne di sensibilizzazione e diffondere una cultura basata sulla parità di diritti tra i sessi, prima ancora di festeggiare.
Perché quando una delle nostre sorelle viene stuprata o uccisa, nessuna di noi trova il motivo di festeggiare, e abbiamo la necessità di alzare la voce, proprio come sottolinea la poesia di Cristina Torres Cáceres: “se domani non torno, se domani tocca a me, mamma, distruggi tutto. Se domani non torno, voglio essere l’ultima”.
La poesia di cui parlo: “Se domani non torno” di Cristina Torres Cáceres
Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che non torno a cena. Se il taxi non arriva…
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada, o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley).
Non avere paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina).
Non urlare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno inflitto una sofferenza inimmaginabile (Lucia).
Ti diranno che è stata colpa mia, che non ho urlato abbastanza, che era colpa del mio abbigliamento, dell’alcol in circolo.
Ti diranno che ero sola, che il mio ex aveva delle giustificazioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare, andando oltre le aspettative sociali.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, cara mamma, ho lottato con tutte le mie forze.
Ti ricorderai di me, mamma, e saprai che sono stata io a cambiare le cose quando vedrai tutte le donne che grideranno il mio nome.
Perché so, mamma, che tu non ti fermerai.
Ma, per favore, non legare le mie sorelle.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, e non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno spezzato.
Lotta perché possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti affinché possano urlare più forte di me.
Affinché possano vivere senza paura, proprio come ho vissuto io.
Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

La violenza di genere è aumentata o se ne parla di più?

La violenza non è aumentata, ma se ne discute di più. Le donne stanno prendendo coscienza della gravità delle situazioni, complice anche l’isolamento forzato con uomini violenti durante il Covid. Stanno imparando che rimanere in una relazione violenta è pericoloso e che esistono canali di supporto, come il numero nazionale 1522, che indirizza al centro antiviolenza più vicino. Stiamo registrando un aumento delle richieste d’aiuto da parte delle donne.
La cifra drammatica di donne uccise da uomini che dicevano di amarle è inquietante: in media, una ogni due giorni in Italia. Questo fenomeno spinge i media e le comunità a intraprendere iniziative, prima di tutto, per aumentare la consapevolezza.
È fondamentale che, quando decidiamo di allontanarci da una relazione violenta, lo facciamo con il supporto di esperti, poiché è il momento più delicato e critico. Esiste una metodologia precisa per farlo in sicurezza e per tutelare se stesse e i propri figli.
Non si tratta semplicemente di evitare l’ultimo incontro, ma di seguire un percorso assistito dai centri antiviolenza, dove ci sono operatrici formate e competenti.

Un dialogo con le associazioni di uomini maltrattanti, è una strada da percorrere o è solo una provocazione?
No, non è utile. Ci occupiamo di questioni diverse, pur essendo entrambi parte dello stesso fenomeno.

Come società, cosa possiamo fare di concreto e a breve per contrastare il fenomeno della violenza di genere?
La prima azione è credere alle donne; la vittimizzazione secondaria rappresenta un deterrente forte che spinge le vittime a ritirare le denunce. In secondo luogo, è fondamentale rompere gli stereotipi di genere, sia per gli uomini che per le donne. In terzo luogo, è importante prendere posizione su questo fenomeno, partendo dalla quotidianità.
Sottovalutare comportamenti già identificati dagli esperti come il fondamento della violenza di genere equivale a condannare le donne. Oggi ci troviamo in un contesto storico e sociale complesso. Non è vero che non possiamo più parlarne; abbiamo dati e ricerche sufficienti per comprendere che certe parole, azioni e comportamenti alimentano la cultura patriarcale che uccide le donne.
Non stiamo facendo una campagna contro gli uomini. Sottolineiamo sempre che parliamo di uomini maltrattanti, non di uomini in generale. Anzi, è cruciale che gli uomini siano al fianco delle donne per proteggere madri, sorelle e figlie.
Gino Cecchettin, padre di Giulia Cecchettin, vittima di femminicidio nel 2023, nel suo libro parla di alleanza tra i sessi per contrastare le prevaricazioni. Come padre che ha perso la figlia uccisa dall’uomo che diceva di amarla con 75 coltellate, si interroga su cosa possa fare per cambiare le cose. A pagina 124 del suo libro ‘Cara Giulia’ scrive: “siamo noi uomini a dover cambiare. E dobbiamo parlare soprattutto a coloro che desiderano il cambiamento e non si riconoscono più nei modelli trasmessi dai loro padri. […]
Solo così possiamo modificare i modelli collettivi e togliere il potere all’uomo violento, che non è altro che un uomo fragile che interpreta un rifiuto o un fallimento come un attacco alla sua identità più profonda, quella di decisione e controllo, considerando le relazioni come una forma di possesso e ogni rifiuto come un furto da risarcire. […]
Dobbiamo tutti lavorare insieme, uomini e donne, genitori e figli. E dobbiamo farlo nella nostra vita quotidiana.” […] La violenza sulle donne è sempre espressione della fragilità dell’uomo. E il contrario di fragilità non è forza, ma solidità.

Come comunicatori, dove sbagliamo?
Nonostante siamo professionisti della comunicazione, siamo immersi in una cultura che perpetua la violenza di genere. Se non riconosciamo i nostri pregiudizi e i pericoli di una comunicazione basata su stereotipi, rischiamo di diventare complici di un fenomeno odioso che uccide le donne.

Alcuni consigli per riconoscere i potenziali rischi…
In collaborazione con Donne Insieme Valdelsa abbiamo scritto un libro e creato un podcast dal titolo “insieme fuori dalla violenza”, in cui raccogliamo interviste a esperti sul tema e descriviamo i segnali di violenza di genere, anche i più subdoli.
Non esistono parole o gesti innocui; agli altri voglio semplicemente dire di ascoltare quella vocina interiore che ci avverte che qualcosa non va, quella paura che si fa strada nella nostra vita quotidiana.
In una relazione intima, la base deve essere la fiducia. Se questa manca, non dobbiamo esitare a contattare il numero 15 22. I centri antiviolenza sono a nostra disposizione anche solo per rispondere a domande o per chiarire dubbi. L’accesso è gratuito, anonimo e non obbliga la donna a sporgere denuncia o intraprendere un percorso irreversibile.
Uscire dalla violenza è possibile; i centri antiviolenza sono presenti per accompagnare le donne in questo percorso.



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